ROMOLO: PROBLEMI SCOLASTICI
È questo un caso che mi è particolarmente caro perché è stato il primo dei problemi scolastici trattato con la Psicoterapia R.E.EM “LEVA-SPINE”: al tempo, restai profondamente stupita dalla velocità con cui era stato possibile risolvere un problema così ostico. Inoltre, lo considero particolarmente interessante perché è una dimostrazione lampante della stretta interdipendenza tra sfera emotiva, cognitiva e relazioni sociali.
Romolo venne da me per problemi scolastici: era molto scadente in tutte le materie. Non potrò mai dimenticare il mio primo impatto con lui. Mi ricordò la mia gatta Poppea appena avuti i cuccioli: finito il loro primo accudimento, li prese uno per uno per la collottola e li portò sul letto per mostrarmeli. Così io vidi entrare nel mio studio Romolo tenuto per mano dalla madre: aveva un atteggiamento dimesso e inerme, con gli occhi bassi ed un portamento “afflosciato”. Sua madre, invece, aveva un grande sorriso, lo sguardo speranzoso e mi disse: «Buonasera dottoressa, ecco mio figlio!».
Romolo era un bel ragazzo biondo di 17 anni, occhi azzurri, piuttosto alto e ben messo. Ma figurava meno perché si teneva un po’ curvo, con le braccia a pendoloni e con la testa china.
La madre mi aveva contattata poiché preoccupata per questo figlio che, da sempre timido e introverso, andava chiudendosi sempre più. Frequentava una scuola mista, ma non aveva fatto amicizie né maschili né femminili. Stava sempre rinchiuso dentro casa dove non parlava con nessuno. A tavola, quando sollecitato, rispondeva malvolentieri e a monosillabi.
Passava le sue giornate chiuso nella sua cameretta “a studiare”. La madre diceva che era pieno di buona volontà, che lo sentiva continuamente studiare ad alta voce. Ciò nonostante, i problemi scolastici erano tanti: i risultati che otteneva dai suoi sforzi erano assolutamente scarsi, cosa profondamente frustrante per l’impegno impiegato. Fino ad allora ogni anno se l’era cavata per il rotto della cuffia. Gli insegnanti, nonostante tutti i problemi scolastici, gli avevano sempre dato un “calcetto” per essere promosso, grazie alla buona condotta e alla buona volontà dimostrata. Il ragazzo diceva che, per quanto studiasse, non riusciva a fare una bella interrogazione perché “non gli restava nulla in testa”, semplicemente non riusciva a ricordare.
Sia la famiglia che gli insegnanti ritenevano che i problemi scolastici dipendessero da un deficit di attenzione e memoria. Romolo stesso ne era convinto, ma diceva che in fondo non gliene importava nulla: ripeteva che lui era fatto così, che gli altri “sapevano ricordare” ma lui no, per cui doveva solo studiare di più. Non dimostrava invidia per i compagni che andavano bene a scuola studiando pochissimo, né dispiacere per se stesso. Diceva che andava bene così. Era il ritratto della rassegnazione fatta persona. Ma, allora, perché era così taciturno e scontroso?
Durante la prima seduta R.E.EM “LEVA-SPINE”, però, ricordò e rivisse un episodio delle elementari: un suo disegno aveva vinto il primo premio. Risentì la gioia del successo, l’orgoglio che gli gonfiava il petto e provava un grande piacere. Ma poi d’improvviso scoppiò a piangere dicendo: «E ora sono sempre l’ultimo!…». Emerse che ormai, dalla quarta elementare in poi, non aveva più disegnato. Perché esser bravi in disegno, come la sua insegnante di allora gli aveva detto, “non valeva nulla”.
Una settimana dopo, lo rividi per l’incontro di rielaborazione emotiva e cognitiva della seduta precedente. In realtà aveva già ricominciato a disegnare da solo. E Lavoriamo per il pieno recupero del valore del dono che Madre Natura gli aveva fatto.
Lo rividi il mese dopo. La madre era contenta perché lo vedeva più disteso. Mi raccontò che aveva fatto dei bellissimi disegni che erano stati incorniciati e messi alle pareti; anche la scuola li aveva apprezzati e l’insegnante di Arte ne aveva perfino appeso uno in classe. Si stava parlando di fare una mostra. A casa, durante i pasti, prendeva parte alle conversazioni, anche se spesso parlava per “pizzicare la sorella”: ora Romolo si rendeva conto di essere arrabbiato, perché lui, pur studiando tanto, non riusciva ad andar bene come “gli altri”.
Durante la sua seconda seduta, sul lettino rivide una scena di quando aveva quattro anni circa.
Erano in salotto; c’erano sua madre, suo padre, la sua sorellina e un’amica di famiglia che diceva: «Ma quanto è brava Lilli! Ha due anni meno di Romoletto e già parla più e meglio di lui!». Rivivendo quest’episodio disse di sentire un vuoto al petto e la testa confusa. Poi – a raffica – vide tante altre scene: la sorella che faceva evoluzione sui pattini; la sorella che portava una bellissima pagella a casa e i genitori che la abbracciavano dicendo «ma quanto sei brava!»; la sorella che recitava sul palco… Ad un certo punto disse di sentirsi andare a fuoco: in effetti il viso si era arrossato, parlando alla sorella disse: “sei una stronza”… “sei tutto tu”… “mi fai rabbia”… Piano piano si calmò, il colorito ridiventò normale, e poi disse: «Siamo solo diversi. Io sono bravo a disegnare, lei a pattinare. E ora so parlare bene anch’io!».
Quando tornò, da solo, la settimana dopo, per la rielaborazione della seduta precedente, Romolo entrò nello studio con un sorriso a trentadue denti. Mi abbracciò e mi disse con aria furbetta: “Mi sa che i miei problemi scolastici sono finiti! Lo sai che mi piace la storia? Sono stato interrogato ed ho preso sette. E poi ho scoperto come fanno gli altri a ricordare: quando si legge bisogna capire e vedere nella testa!”. Mi disse di essersi reso conto di avere un’ottima memoria. Ora gli sembrava di averla tenuta chiusa in una scatola e messa in cantina: la convinzione di essere quello “non bravo”, quello che “non riesce” non gli permetteva di aprirla e usarla quando serviva. Lo stesso giorno mi telefonò la madre: si disse molto contenta perché Romolo era diventato un ragazzo molto spigliato, protettivo con la sorella, alla quale faceva solo battute bonarie.
Alla seduta di controllo, tre mesi dopo, Romolo esibì un bel portamento ed un bel sorriso. Raccontò che era stato promosso con la media del sette e mezzo, anche se ora studiava molto meno e quindi aveva tempo di uscire con gli amici. In realtà, stava facendo il filo ad una ragazza!…
Come tutti i primogeniti, Romolo aveva sofferto molto per l’arrivo della sorella. Anche se in modo inconscio aveva pensato: ” Perché si sono fatti un altro bambino se hanno già me? Cosa aveva lui che non andava? La frase dell’amica di famiglia gli aveva confermato l’idea che in lui c’era qualcosa che non piaceva ai genitori; ma gli aveva fatto anche scoprire cosa c’era di sbagliato in lui: “lui non era bravo!” L’insegnante di quarta gli aveva confermato che quello che sapeva fare non valeva niente: quindi lui restava sempre “quello non bravo”. Allora, per non soffrire troppo, meglio dirsi: “non sono bravo, è normale, non m’importa niente”. E allora, perché studiava tanto? Perché una parte di lui sapeva bene che gliene importava tantissimo; ma la convinzione di non poter riuscire gli bloccava l’utilizzo di tutti i processi cognitivi.
Rivivere sul lettino della ionorisonanza gli episodi dolorosi lo aveva liberato dal Fantasma del Complesso di Inferiorità legato al trauma della detronizzazione; come pure da quello della Rabbia. Questa si era trasformata, in modo pericoloso, in Indifferenza: Romolo aveva corso il pericolo della Depressione. Con la R.E.EM aveva sciolto due fantasmi e tolto due spine che lo tormentavano da quando aveva quattro anni. Ed aveva pure scoperto che, oltre alla comprensione, poteva usare l’immaginazione per ricordare meglio ciò che leggeva!.
Nota bene:
l’immagine in principio di articolo non è quella del protagonista
ma ha solo un valore evocativo della sua problematica